Quanto versare per una pensione integrativa

Quando si parla di pensione, il nostro pensiero si concentra irrimediabilmente sull’aspetto economico futuro con cui ogni singolo individuo deve fare i conti una volta raggiunta la soglia dell’età pensionabile. 

Franchigia e scoperto: differenze

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Molto spesso, il reddito medio mensile erogato dall’Istituto nazionale della previdenza sociale a quanti abbiano raggiunto un livello legalmente riconosciuto di contribuzione, non basta a garantire la prosecuzione di uno stile di vita adeguato, in linea con quello condotto durante la vita lavorativa, concorrendo, in alcuni casi, all’aumento della percentuale di povertà presente in Italia.  

In questo contesto, scegliere di destinare parte del proprio stipendio e il TFR (Trattamento di Fine Rapporto) accumulato e futuro ad un fondo pensione rappresenta l’unica soluzione per tutelare il patrimonio e assicurarsi una rendita che permetta di vivere serenamente e di far fronte, senza preoccupazione alcuna, agli impegni finanziari quotidiani.  

Ma come capire quale sia la somma più giusta da versare perché la pensione integrativa restituisca un capitale mensile ingente al punto da svolgere appieno il ruolo per cui è stata creata e fungere in modo tangibile da integrazione della pensione?   

Cos’è un fondo pensione: tutte le tipologie   

Come anticipato, il fondo pensione altro non è che una pensione integrativa a cui viene destinata una quota del proprio reddito durante gli anni in cui si svolge l’attività professionale e che, una volta raggiunta l’età pensionabile (che in Italia si aggira intorno ai 67 anni per quasi tutte le categorie di lavoratori, liberi professionisti esclusi), viene restituita andando a sommarsi alla pensione erogata dall’Inps.  

È possibile considerare questa forma di previdenza complementare come un vero e proprio investimento sul futuro, una forma di risparmio gestita in grado di garantire non solo il mantenimento del proprio regime di vita (o quantomeno di avvicinarlo il più possibile), ma anche di vivere con serenità qualsiasi tipo di spesa futura.  

Il funzionamento è semplice: a fronte del versamento di una somma stabilita dall’assicurato, anche con periodicità mensile, e individuata grazie all’aiuto di un consulente, all’istituto bancario o alla compagnia assicurativa, al raggiungimento del periodo del pensionamento e fino al momento della dipartita si ha diritto ad un capitale integrativo.  

Al fondo pensione, inoltre, nel caso dei lavoratori dipendenti, è possibile destinare anche il proprio TFR (Trattamento di Fine Rapporto).  

L’ammontare del patrimonio accumulato, infine, può essere riscattato anche in forma integrale, una tantum, alla scadenza del contratto o in parte, anticipatamente, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, o se i soldi sono necessari al pagamento di spese sanitarie, al sostentamento a seguito della perdita di autosufficienza o della comparsa di invalidità permanenti conseguenza di infortuni, incidenti o malattie e per l’acquisto della prima casa o per interventi di ristrutturazione nella stessa o per esigenze personali.

Esistono 4 tipologie di forme previdenziali complementari, che si distinguono in base alla gestione dei fondi e al soggetto che funge da depositario:  

  • fondi pensione chiusi (o fondi negoziali);  
  • fondi pensioni aperti;  
  • Piani individuali pensionistici (PIP);  
  • fondi preesistenti.  

Fondi pensione chiusi  

Sono pensioni integrative derivanti da accordi collettivi tra i datori di lavoro e i lavoratori facenti parte di un determinato gruppo, categoria contrattuale, o impresa situata in uno specifico territorio e in cui l’amministrazione e il controllo sono suddivise in modo equo tra le due figure sopra citate. 

Fondi pensione aperti  

Fondi pensione istituiti da banche, SGR, SIM e imprese di assicurazione rivolti, in linea di principio, a tutti i lavoratori. L’adesione è consentita su base individuale o su base collettiva.

PIP: Piani Individuali Pensionistici  

Fanno parte delle cosiddette assicurazioni vita caso vita, ossia quelle polizze che permettono di accumulare un capitale, da riscuotere alla scadenza delle stesse, nel caso in cui l’assicurato risultasse ancora in vita (in caso contrario il patrimonio viene consegnato ai beneficiari indicati da quest’ultimo).

È una forma di pensione integrativa che permette una maggiore libertà di movimento per ciò che riguarda la cifra da destinare al fondo ogni mese e che tiene conto delle singole esigenze e dei piani economici futuri di colui che stipula la polizza.  

Fondi preesistenti  

Fondi pensione già istituiti alla data del 15 novembre 1992, prima dell’entrata in vigore del Decreto lgs. 124/1993. Con DM Economia 62/2007 è stata dettata la disciplina per l’adeguamento alla nuova normativa di sistema introdotta dal Decreto lgs. 252/2005.

Fondo pensione, quanto versare?  

La domanda più comune che ci si pone quando si decide di aprire un fondo pensione è: quanto versare mensilmente per una pensione integrativa per garantirsi una rendita aggiuntiva adeguata al proprio regime di vita?  

In realtà, non esiste una risposta univoca, né tantomeno esistono scelte giuste o scelte sbagliate. L’ammontare della somma destinata alle forme di previdenza complementare viene stabilito tenendo conto delle esigenze del singolo individuo, dell’importo ipotetico della pensione lavorativa o del numero di membri facente parte del nucleo familiare, e può variare in base all’età dell’investitore, agli anni che mancano al raggiungimento della pensione e al tasso di rendimento del fondo stesso.  

È chiaro, tuttavia, che l’età che la persona ha al momento dell’apertura di un piano di risparmio integrativo può fare la differenza in termini di quota reddituale mensile da versare.  

Prendendo, ad esempio, in considerazione giovani lavoratori, di 20 o 30 anni, che, in concomitanza alla firma del contratto per lo svolgimento del primo impiego, decidono di affidare parte del loro stipendio ad una forma di previdenza complementare, i contributi che andranno a versare corrisponderanno, idealmente, al 10% del loro reddito. Questo perché, rispetto ad una persona di 40 o 50 anni, più vicina alla conclusione della carriera lavorativa, un ragazzo di 20/30 anni ha più tempo a disposizione per raggiungere l’obiettivo economico preposto e consentire ai propri risparmi di fruttare.  

Allo stesso modo, un individuo che sia più vicino all’età pensionabile, dovrà investire una somma mensile più alta per garantirsi una rendita vitalizia adeguata alle sue esigenze.  

In linea generale, quale che sia l’età dell’investitore, la strategia che si potrebbe seguire, posta un cifra di base sotto la quale non andare, è quella pensata da Tahler e Benartzi, chiamata “Save More Tomorrow”; ossia quell’accorgimento secondo cui l’incremento dell’accantonamento pensionistico deve dipendere da un incremento dello stipendio.  

Pubblicato il 11 Gennaio 2024

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